Il cammello e la corda – Domenico Seminerio

>> lunedì 5 aprile 2010

Questo libro è una piccola perla e non ha probabilmente ottenuto il successo che merita.
La storia è quella di un parroco quarantenne che scopre un Giardino di Venere nascosto all’interno di una grotta duemila anni prima da un patrizio romano vissuto, suo malgrado, nel periodo di transizione tra la religione politeista e quella cristiana. L’autore descrive sia le vicende del parroco combattuto tra la scelta di svelare o meno l’esistenza delle 24 statue ritratte in pose lascive (nonché i suoi turbamenti personali in seguito oltre che alla visione dell’opera anche all’accoglimento in canonica di una giovane donna come aiuto-perpetua) sia quelle del patrizio che è costretto dalla morale istituita dalla nuova religione a liberarsi di un’opera dal grande valore artistico e simbolico. I temi toccati sono tanti (ragione e fede, castità e tentazione, amore spirituale e fisico, ignoranza e cultura, valore dell’opera d’arte) ma tutti sapientemente affrontati in una trama che coinvolge e in una prosa eccellente che sul filo dell’ironia ti conduce verso conclusioni condivisibili.

Lo turbava Minuzza. Ma non il turbamento violento che aveva provato le volte precedenti, era come un intenerimento, un vagheggiamento continuo in cui non faceva capolino nessun cattivo pensiero. Non capiva cosa gli stesse succedendo.
[…]
Mangiò di buon gusto, le cose cominciavano a ripigliare sapore e poi Minuzza cucinava bene. Si accorse che lo guardava e spiava le sue reazioni.Voleva essere incoraggiata. Si complimentò con lei per la cena, semplice ma gustosa. Con una maestra come donna Filomena sarebbe certamente diventata una bravissima cuoca.
Arrossì al complimento e accennò un sorriso, abbassando gli occhi sul suo piatto.
Dopo cena andò a sedersi nella sua solita poltrona, per vedere un po’ di televisione. Uno spettacolo musicale, con cantanti, comici e ballerine.
Minuzza lo aveva raggiunto dopo mezz’ora e s’era seduta sul divano. Rise apertamente alle battute dei comici, canticchiò seguendo i cantanti, si agitò mimando le ballerine. In un movimento più ardito scoprì le cosce, fino a mostrare il chiarore della biancheria. Belle cosce, davvero, si sorprese a pensare, per non dire del seno prepotente che guizzava sotto il golfino.
La tentazione. Pater, Ave, Gloria.
[…]
L’agitato Giustino, a braccia aperte, esclamò che era più facile che un cammello passasse per la cruna di un ago che un ricco entrasse in paradiso: era scritto nei sacri testi!
Atenodoro gli chiese serenamente se conoscesse il greco.
E che centrava il greco, la sua conoscenza del greco? Si volse dubbioso al giudice, che con un gesto di condiscendenza lo invitò a rispondere alla domanda.
Il diacono rispose seccamente che non lo conosceva.
E quindi?
Atenodoro cominciò a dire sornionamente che la citazione fatta prima dal diacono conteneva un errore. Aveva voluto documentarsi sulla nuova religione e s’era fatto inviare i sacri testi, che, come Giustino doveva sapere, erano originariamente scritti in Greco.
Ricordava perfettamente il brano citato, per l’icasticità del paragone. Ma nonc’era nessun cammello, bensì una gomena. Nel testo greco da lui letto c’era gomena e non cammello. Evidentemente c’era un errore di traduzione. Quella giusta, e più logica, doveva essere: è più facile che una gomena entri nella cruna di un ago, che un ricco in paradiso.
Giustino balzò in piedi gridando. La sua citazione l’aveva presa da una traduzione che tutti riconoscevano ispirata direttamente da Dio! Se errore c’era, era un errore ispirato da Dio! Era un felix error! Concluse tra l’applauso della folla e il sorriso compiaciuto di Vincino.
Atenodoro tacque allibito. Ma come passava per opera di Dio anche l’errore di un traduttore frettoloso o assonnato? Era preferito il cammello della fede alla gomena della ragione?

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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